A VOLTE RITORNO

Caldo. Sudore. Cose da fare. Una vita che, tra alti e bassi, va avanti. Un nuovo sorso di rum, mentre i cubetti di ghiaccio nuotano nel mio bicchiere facendo rumore. Provo a pensare ma anche la mia mente è arida come un terreno alla disperata ricerca di una pioggia rigenerante. Un rapido sguardo a quella bottiglia, custode di spicciola psicoanalisi alcolica, ormai vuota. Cerco di guardare verso l’orizzonte dei miei pensieri. Solo nuvole grigie che non ne vuole sapere di fendere l’aria per poter tornare a respirare. La notte ruggisce fuori dalla mia finestra, guardandomi dall’alto in basso. Mi deride mettendomi in difficoltà con questa calura che non da scampo.

La morte di un giorno che lascia spazio alla nascita di uno nuovo. L’eterno cerchio della vita, perpetuamente ciclico. Un meccanismo così finemente collaudato da sembrare perfetto. Ma sono così stupido da non accorgermene. E il tempo passa in fretta. Troppo in fretta. Passeggio nella sala dei trofei dei miei sentimenti. Tanti quadri appesi al muro. Tanti volti rappresentati. Pochi che valgano la pena di essere citati. Uno solo che ancora brucia nelle fiamme ardenti dei miei sentimenti. Ed eccolo li, al centro della stanza.

In una teca di vetro trasparente. Il motore del corpo, l’essenza dell’umanità che ci differenzia dalle macchine. O almeno che così dovrebbe essere. Un cuore. Il mio cuore. E’ assai diverso da come me lo immaginavo. E completamente diverso da come la gente si ostina a disegnarlo. Non ha nulla di romantico o di umanamente interessante. Un semplice muscolo involontario senza il quale l’amore non avrebbe ragione d’essere. Resto a fissarlo. Mi concentro sulle sue cicatrici. Il suo battito è quasi ipnotico. La teca gira e la luce di un faretto lo illumina, dandogli un’aria quasi mistica. Una crepa si apre al centro del cuore.

Ecco che il sangue fuoriesce, coprendolo tutto. La stanza viene avvolta da una strana luce verde. Il tutto mentre Freelove dei Depeche Mode fa da stridente colonna sonora alla scena. Mi porto una mano al petto. Sento dolore. Sanguino. Guardo il bicchiere che stringo nella mano destra e noto che c’è ancora del rum. Improvvisamente mi ritrovo nuovamente su quella dannata poltrona gonfiabile, intento a vagare senza meta nella piscina dei miei pensieri. Sorrido, in attesa che arrivi la mia ora. Vuoto il bicchiere e lo lancio via da qualche parte. La musica diventa ovattata e si fa sempre più lontana. Finisco dentro la piscina con tutti i vestiti e vengo portato a fondo.

Nuoto, aspettando che tutto diventi più leggero, mentre una strana forza mi trascina sempre più giù. Sul fondo della piscina sui dei monitor passano i momenti più belli della mia esistenza passati con la persona che mi ha fatto sentire vivo nei miei ultimi anni. Tutto passa alla velocità della luce. Qualcuno ha schiacciato il tasto dell’avanzamento veloce. Il mio sangue si è mescolato all’acqua. Sento una spinta che lentamente mi fa risalire. Torno nuovamente a respirare. Mi guardo attorno. Una grande villa buia dove l’unica zona illuminata è quella in cui mi trovo io. Ritorno sul mio ridicolo trono gonfiabile. Stappo una bottiglia di birra e mi abbandono in balia degli eventi. Seguo il flusso dell’acqua. Non so dove mi porterà. Continuo a bere la mia birra. Improvvisamente inizia a piovere. Tira vento e fa freddo. E sono di nuovo solo.

 

Hank Cignatta

 

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