CALIFORNICATION E IL RITRATTO DEI VIZI E DELLE VIRTU’ UMANE

Fino al 1999 Californication era il nome del settimo album in studio dei Red hot Chili Peppers, in grado di regalare alla band californiana la consacrazione a livello mondiale. Ma dal 2007 quella parola che richiama il sole e le spiagge della California e tutto il fascino della parola fornicare ha assunto anche un nuovo significato. Nel periodo di massimo successo delle serie tv, prodotte dai più importanti network statunitensi ed importate in ogni angolo del globo, qualcosa stava per cambiare. Ecco che fa il suo ingresso nella storia della televisione Hank Moody, scrittore in piena crisi creativa. Ubriacone, promiscuo e dedito alla dissolutezza, questo personaggio si affaccia sul mondo dei telefilm con la stessa sfacciataggine di un figlio ribelle all’interno di una famiglia aristocratica e attenta alla forma ma non alla sostanza delle cose.

Ed è così che nel corso della prima puntata scopriamo che il baldanzoso Moody è in crisi creativa dopo aver scritto il libro Dio ci odia tutti, diventata una melensa commediola per famiglie intitolata Quella folle, dolce cosa chiamata amore ed interpretata da Tom & Katie ( all’epoca la coppia d’oro di Hollywood). Hank ha una vita incasinata, una figlia, Becca, che si sta affacciando a tutta velocità verso la non semplice fase dell’adolescenza e un rapporto da ricucire con Karen, sua musa nonché eterna compagna e madre della sua erede. La storia prosegue introducendo altri personaggi che  entrano di diritto nella vita di Hank e fondamentali per il prosieguo della storia. Impariamo a conoscere il vizioso Charlie Runkle, agente di Hank Moody nonché suo migliore amico.

Impariamo a conoscere anche Marcy, moglie di Charlie e dedita ad ogni sorta di sperimentazione. Una storia diversa dal solito, che si protrae nel corso delle sette stagioni che compongono la serie tv in tutte le sue geniali trovate e le sue tristi cadute di stile, che di certo non lasciano lo spettatore indifferente. Californication e quel tenero coglione di Hank Moody o si amano o si odiano. Ma quello che fa riflettere di questa serie tv è come l’ideatore dello show nonché sceneggiatore Tom Kapinos (già sceneggiatore di Dawson’s Creek) sia stato in grado di creare un mondo nel quale noi maschietti (nessuno escluso, abbiate l’onestà di ammetterlo) vorrebbe capitare almeno una volta prima di chiudere gli occhi su questa beffarda e sciatta esistenza.

Alcol. Libri. Amplessi bagnati, asciutti e rumorosi. Rock’n’roll. Gropies. Prostitute. Studentesse che difficilmente si trovano in una dimensione reale. Promiscuità sessuale. Totale mancanza di freni inibitori. Pornografia. Cinema d’autore. Fini citazioni letterarie. Sarcasmo. Situazioni imbarazzanti. Indifferenza. Letti perennemente sfatti e lenzuola bagnate. E poi le donne. Accidenti, che donne! Credo che Californication sia il telefilm più odiato dalle femministe. O dall’universo femminile in generale. Le donne che compaiono in questo telefilm sono delle feroci mangia uomini, pronte a donare le proprie grazie in modo incondizionato al protagonista. E l’unica sua colpa è quella di essere uno scrittore di successo, autore di alcuni libri che di certo non sono quell’accozzaglia di puttanate commerciali che le librerie mettono in vetrina in bella vista per cercare di attirare la tipologia di lettore che legge qualcosa non perché vuole farsi una cultura ma perché è la moda del momento.

Viene quindi da pensare che Kapinos abbia voluto creare un mondo al contrario, aggiungendoci un pizzico di femminismo al contrario. Se nell’immaginario collettivo è sempre l’uomo ad essere una sorta di playboy in grado di cambiare compagna con la stessa facilità con la quale si cambia il bicchiere con il quale di volta in volta si consuma il proprio drink, in Californication sono le donne ad essere aggressive. Sono proprio le donne a voler essere trattate come oggetti e non viceversa. Per non parlare del ruolo della nudità di questo telefilm. Che si può più facilmente espandere al mondo della televisione e del cinema in un senso decisamente più ampio. Come mai noi abbiamo la possibilità di accedere alle grazie più nascoste di qualsiasi protagonista femminile (sia in televisione che al cinema) con una facilità imbarazzante? Come mai riusciamo a scrutare la turgidità di un capezzolo, la presenza o l’assenza di qualsivoglia pelo pubico della protagonista femminile di turno mentre invece il membro maschile è relegato nei boxer dei suoi protagonisti?

Sia chiaro, niente di strano. O meglio, nulla che abbia a che fare con le mie preferenze sessuali. Quelle rimangono saldamente etero. Ma una riflessione sul fatto che in un epoca in cui la televisione ha sdoganato il nudo e il sesso come nuova forma di espressione e di narrazione(e Californication in questo ha dato un massiccio contributo) tutto è facilmente fruibile per l’uomo mentre alla donna viene lasciata la pallida immaginazione dell’ombra di un cazzo pronto a fare la sua comparsa davanti alla macchina da presa? Siamo veramente ancora ancorati a vecchi meccanismi narrativi che ci permettono di desiderare di essere liberi, emancipati e nudi ma con una mano saldamente davanti al cazzo per coprire le ataviche e maschili nudità? Forse in questo c’è qualcosa che non torna.

Ma è una breve divagazione su una serie tv che prende per mezzo delle vicende che si districano nelle esistenze dei suoi protagonisti. Uno degli elementi vincenti di Californication è il non fare una netta distinzione tra protagonisti principali e secondari. Certo, al centro del palcoscenico c’è Henry J. Moody. Ma gli fanno da contraltare anche Charlie, Marcy, Becca e Karen. Senza di loro Hank non avrebbe modo di esprimere la sua idiosincrasia nei confronti della banalità umana in una città che proprio della banalità e della frivolezza ha fatto uno dei suoi punti di forza. E in un periodo in cui lo spettatore può liberarsi dalle catene dei palinsesti televisivi, che fino a qualche anno fa facevano il bello e il cattivo tempo con la pazienza e la smania dello spettatore in attesa di potersi gustare la messa in onda della sua serie tv preferita, trovare un serial fresco e disinibito come Californication non è roba da poco.

Ma attenzione: non è tutto oro quello che luccica. Mentre alla maggior parte delle persone Californication piace perché Hank Moody impersonifica lo standard dello scrittore beone e di successo, in grado di potersi scopare qualsiasi cosa respiri e che sia vaginomunita, il messaggio che questo telefilm vuole dare va ben oltre alle evidenti apparenze che abbagliano chi non è in grado di coglierle. Si può ridere di se stessi, delle proprie disgrazie e della propria situazione. Si può toccare il fondo come mai si è riusciti a fare in vita propria. E può sembrare che tutto stia per crollare, che quelle poche certezze lascino prepotentemente spazio ad un vortice nel quale è davvero consigliabile non finire. Ma l’amore profondo per la propria famiglia, per tutto quello che vale la pena combattere giorno dopo giorno è l’unica vera cura in un mondo affetto dal male dell’apparenza e della stupidità.

La banalità conforma e questo fa si di non essere più in grado ad elaborare un pensiero per conto proprio e di vivere in funzione di ciò che dicono gli altri. Vivere e rimanere ostaggi dell’approvazione altrui, senza la quale la maggior parte delle persone che vive la fuori non riesce a rapportarsi nella vita di tutti i giorni. E allora cosa c’è di male a dare un calcio alla grigia banalità di ciò che ci aspettiamo, scombinando le carte in tavola e tornando padroni del nostro pensiero? Tom Kapinos probabilmente a queste cose non aveva pensato ma bisogna ammettere di avere due palle grandi come cocomeri del Sudafrica per creare un telefilm in grado di parlare all’essenza più pura dei nostri difetti e  delle nostre angosce. E lasciatemi concludere dicendo «tieni duro finchè ce l’hai duro, ma ricorda… niente guanto, niente amore».

Hank Cignatta

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