I DISCUTIBILI NEOLOGISMI DELL’ITALIANO 2.0

Una lingua, per potersi dire viva e attiva, è in continua evoluzione. Si trasforma e si adatta ai tempi e ai contesti storico- culturali del momento. E in un’era di profondo rinnovamento tecnologico come quella che stiamo vivendo, la lingua italiana deve restare al passo con i tempi.

Infatti sono entrati nell’uso comune termini a cui soltanto quindici o vent’anni fa non saremmo stati in grado di darne il giusto significato. Smatphone, postare, twittare, selfie, messaggiare sono solo alcuni dei neologismi tecnologici che da qualche anno a questa parte sono finiti nei dizionari di recente tiratura.

La necessità di sfornare dei nuovi termini in grado di dare una terminologia ad attività che fino a qualche anno fa potevamo vedere solo in alcuni film di fantascienza è una motivazione assai radicata nelle abitudini della nostra società. Se una determinata cosa o comportamento non viene etichettato, non viene preso in considerazione dalla massa.

La società, dapprima che diventasse 2.0, ha da sempre cercato di affibiare delle categorie a qualsiasi cosa la circondasse, in modo tale da trovare attività o comportamenti che in qualche modo potessero aiutare all’elevazione sociale.

Ecco quindi che con l’avvento dei telefonini intelligenti, immortalare il proprio ritratto diventa farsi un selfie. Probabimente continuare ad utilizzare la parola autoscatto rendeva meno nobile questo gesto, diventato assai popolare tra la società 2.0

La costante presenza dei social network nelle nostre esistenze ha fatto si che venissero coniati neologismi del calibro di postare, anzichè pubblicare. O twittare,nel caso di chi è più avezzo all’uso di Twitter per far sapere al mondo che esiste e che ha una vita viva ed attiva.

I mass media in tutto questo di certo non aiutano: è abitudine sempre più diffusa da parte di giornali e telegiornali impiegare parole che rimandino ad un determinato fatto di cronaca ma che, in sostanza, lasciano abbastanza allibiti. E’ il caso degli assenteisti statali, denominati come furbetti del cartellino. Nomignolo accattivante, ma che pare snaturare la gravità del fatto e che si rilega al discorso di cui sopra sulla necessità di dare a qualsiasi cosa o comportamento un’etichetta.

Altro termine sempre più utilizzato dai mass media è clochard, per riferirsi a chi vive per strada. Magari la parola barbone, in tempi di perbenismo distruttivo come quelli che viviamo non sarà elegante, ma la natura francofona di questo termine non da certo loro più dignità.

Pare quindi così complicato chiamarli senza tetto. Come già sopra riportato, una lingua per potersi definire viva si evolve continuamente. Ma il prepotente tentativo da parte dei mass media di far entrare determinate parole all’interno della nostra lingua è una violenza culturale alla quale ci si dovrebbe opporre con fermezza.

Anzichè lanciarsi nella creazione di neologismi non sarebbe più importante trovare una soluzione per il triste problema che affligge i giovani italiani, i quali non sono in grado di elaborare uno scritto in italiano corretto?

Hank Cignatta 

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