ALLEVAMENTI INTENSIVI, COSTI INSOSTENIBILI PER IL PIANETA.

H2O, Acqua, una molecola semplice, due atomi di idrogeno ed uno di ossigeno, una risorsa importante sul pianeta che tuttavia non è infinita.
La popolazione umana sul pianeta si aggira intorno agli 8 miliardi di unità, ogni unità necessita per sopravvivere di almeno 2 litri di acqua dolce al giorno (16 miliardi di litri) al giorno.
Attualmente la maggior parte dei paesi industrializzati ha un consumo pro capite di oltre 200 litri giornalieri, questo rende l’acqua un bene di primaria importanza al punto di essere definito “oro blu”.

Le emissioni di CH4 (Metano) responsabili del riscaldamento globale sono un ulteriore problema per il pianeta e per l’uomo, il sistema rischia di arrivare ad un punto di break even.

In questo quadro strutturale, che ci presenta un futuro decisamente poco roseo, dobbiamo considerare la responsabilità degli allevamenti intensivi.
Attività che hanno un impatto devastante sui delicati equilibri del pianeta, rei di consumare incredibili quantità di risorse e di produrre quasi il 40% delle emissioni ci CH4.

Nella seconda metà del Novecento il consumo globale di carne è aumentato di 5 volte, passando da 45 milioni di tonnellate all’anno nel 1950 a 233 milioni di tonnellate all’anno nel 2000, e la FAO ha stimato che entro il 2050 si arriverà a 465 milioni di tonnellate. Ciò ha causato naturalmente un aumento del numero di animali allevati: secondo le statistiche della FAO (2007), in tutto il mondo ogni anno vengono macellati circa 56 miliardi di animali, esclusi pesci e altri animali marini. Questa crescita esplosiva della popolazione animale domestica si è rivelata incompatibile con i ritmi naturali terrestri e ha inciso attraverso diversi modi sull’equilibrio della Terra.

Gli animali allevati, per svilupparsi, vivere, crescere e produrre, naturalmente hanno bisogno di nutrirsi. Le risorse alimentari consumate da questi animali sono però maggiori di quante essi ne producano sotto forma di carne, latte e uova destinati al mercato: gli allevamenti, così come li ha definiti l’economista Frances Moore Lappé in Diet for a small planet, sono “fabbriche di proteine alla rovescia”.

La quantità di cibo assunta da un organismo animale non produce direttamente un’analoga quantità di massa corporea: infatti, solo una parte del cibo ingerito viene usata dall’organismo per la crescita della sua struttura corporea, mentre il resto viene bruciato come energia per il processo di conversione, per il mantenimento delle normali funzioni vitali e per lo svolgimento delle attività quotidiane, oppure viene espulso.

Il rapporto tra quantità di mangime consumato dall’animale e prodotto finale distribuito estremamente svantaggioso: se per ottenere un chilogrammo di peso vivo un manzo deve consumare una quantità di mangime di 7–10 kg, per ottenere un chilo di carne di manzo per il mercato occorrono, nella migliore delle ipotesi, due chili di animale vivo, che corrispondono a 14–20 kg di mangime consumato.

Il consumo di acqua è assurdamente alto, un manzo può consumare fino a oltre 80 litri di acqua al giorno, un maiale oltre 20 litri e una pecora circa 10 litri, e una mucca da latte, durante la stagione estiva, può consumare fino a 200 litri di acqua in un solo giorno.
Altra acqua viene usata per la pulizia delle strutture di allevamento e degli animali, per i sistemi di raffreddamento e per lo smaltimento dei rifiuti.
Anche senza considerare le condizioni di “vita” di questi animali, costretti in spazi ridottissimi, trattati in maniera crudele ed indegna dobbiamo accettare l’ineluttabilità dei fatti.
La carne deve essere considerata come un prodotto da rivalutare, quantomeno con le attuali modalità di produzione, il sistema Terra non può gestire il costo inconcepibile di questa industria che racchiude in se’ la risposta alla profonda insensibilità ed ignoranza umana.

Christian Longatti

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