SE QUELL’ABBRACCIO FOSSE STATO L’ULTIMO, SAREBBE STATO PIU’ IMPORTANTE? 

“Ettore e Andromaca” (1917) una tra le più commoventi opere d’arte con cui Giorgio De Chirico (1888-1978) racconta un momento narrato da Omero nell’Iliade: l’abbraccio ricco di pathos tra Ettore, principe troiano figlio di Priamo, e sua moglie Andromaca, uniti da un profondo vincolo d’amore. Un ultimo abbraccio, prima della partenza di Ettore per l’inevitabile guerra di Troia contro Achille, dalla quale era consapevole che non avrebbe più fatto ritorno. Nel racconto originale, Andromaca avvolge il suo amato persino tra i capelli, nel disperato tentativo di trattenerlo a sé e dissuaderlo, fino alla fine, a non partire.  

L’opera d’arte è carica di significato, posta in una dimensione totalmente a-spaziale e atemporale, raccontata attraverso i manichini, soggetti cari a De Chirico, che rappresentano l’uomo contemporaneo, senza volto e senza anima, ridotto ad un automa dalla modernità. Eppure, nonostante i manichini siano sprovvisti di espressività e di braccia per stringersi come nel racconto, comunicano pathos, grazie alla carica di colori e alle loro fronti una di fronte all’altra, le cui cuciture sembrano ricordare le lacrime che sovente scendono lungo le guance di una persona. 

Oscar Wilde (1854 – 1900), scrittore, drammaturgo, poeta e saggista inglese, un giorno affermò – “L’essere umano può credere nell’impossibile, ma non crederà mai nell’improbabile”. Se si fosse saputo che dall’oggi al domani non sarebbe stato più possibile abbracciare i propri cari e/o vederli per mesi, si sarebbe dato più valore ai momenti trascorsi in compagnia? Se da un momento all’altro il mondo finisse, una redenzione e un abbraccio avrebbero più valore? Queste sono domande a cui tutti hanno dato risposta almeno una volta nella vita, ma rispondere non è fare propri dei concetti, né dei sentimenti. Pare che gli esseri umani amino tanto giocare al supplizio di Tantalo, con la differenza che non hanno a disposizione lo stesso tempo. 

Il pathos di un abbraccio di un amico, di una nonna, fino a nuovo ordine, lo si potrà solo sognare. La parola “affetto” viene ricordata, ad oggi, solo ai funerali. Non ci si può aspettare nient’altro da un paziente affetto dalla Sindrome di Cotard.

Ettore e Andromaca restano ad oggi confinati tra le pagine di un poema e ad una rappresentazione pittorica, dal quale pare l’uomo non abbia ancora appreso una delle regole auree: l’affetto, prima di dirlo, va comunicato.

Roberta Bagnulo 

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