ANDREA TAMPIERI: “Rivoglio la mia dignità”

Nella vita non si dimentica chi ti è stato vicino. E a maggior ragione non si volge lo sguardo altrove se chi ti è stato accanto, cade in disgrazia. La nostra generazione, quella nata nel dopoguerra, non sa cosa significhi mettere la propria vita nelle mani degli altri. O quella degli altri nelle proprie. Ma chi ha combattuto sul Carso sa bene cosa significa mettere la propria vita a disposizione di un ideale, magari la Patria, sapendo che altri faranno altrettanto con te, mentre dall’altra parte della trincea sparano contro di voi. Si chiama lealtà. Chi si aspetta in quest’intervista un’invettiva, temo rimarrà deluso. Si parla di valori.

I Valori

Quelli di Andrea Tampieri, ex dipendente della Lega Nord dal 1993, sono sentimenti contraddittori. Sofferti. Combattuti. Da un lato il suo passato. I ricordi vividi dell’ascesa del “Movimento”, che nel 1993 si apprestava a cambiare il destino del Nord. La Padania che prendeva posto a Palazzo Marino. Le elezioni del 1994. Via Bellerio, fortino della Lega, come il luogo in cui si dispiegava un sogno. Il Carroccio come una famiglia. Umberto Bossi e Gianfranco Miglio. La Lega il luogo in cui lavorerà con la sua compagna, oggi sua moglie. L’associazionismo Padano da allargare, i nuovi elettori da persuadere. Lo sportello per le famiglie. Andrea ha coronato il suo sogno: vivere del suo stipendio, aderendo ad ideali indipendentisti, aiutando la gente della sua terra a stare meglio. C’ha creduto.

Il 2014 annus Horribilis

Nel 2014 però viene giù tutto. In Lega arrivano le sofferenze bancarie, oggi sottoposte al giudizio della magistratura, che ha consentito il primo ripianamento debitorio intergenerazionale con rimborso a 80 anni. Andrea è fuori. Perde il suo posto di lavoro. Arriva la cassa integrazione. Anche sua moglie è fuori dai giochi. Nel Febbraio 2015 parte la cassa integrazione. Poi arriva un infarto. Due stent, una vita riacchiappata per un soffio. Arriva la depressione. E la lotta per la sopravvivenza. Diventa una categoria protetta, per cui qualche colloquio di lavoro arriva. Le cose cominciano a muoversi. Andrea però vuole in realtà restituita la sua dignità, che sente calpestata. Nel momento del bisogno la sua famiglia politica lo ha lasciato solo. Non chiedeva un seggio: “Non c’ho mai neanche pensato lontanamente, ho contribuito con le mie poche gocce in un mare. Ma qualche cosa ho pur fatto, no?”

Abbandono

Andrea non avrebbe voluto essere lasciato solo. Non avrebbe voluto leggere mail di persone che per anni gli hanno dato del tu, lo hanno considerato “uno di loro”; trattandolo oggi come se non lo avessero mai visto, dandogli del lei. Andrea non avrebbe voluto sentirsi un estraneo a casa sua. Prima gli italiani? “Prima le persone”, mi dice guardandomi negli occhi. Andrea vuole vedersi restituita la dignità che gli è stata tolta. “Non ho intenzione di chiedere il mio diritto ad avere di nuovo un lavoro, con il cappello in mano: voglio avere una seconda chance di tornare a fare quello che facevo, perché sapevo farlo bene e con entusiasmo.”

Chiedere un lavoro

Ha mandato i curricula, come tanti altri. In Italia però i centri per l’impiego nella loro declinazione più efficiente fanno trovare lavoro a 27 persone su 100. La media nazionale è di 3 su 100. Ma se sei stato della Lega Nord, hai 48 anni e un cuore sofferente, chi ti prende?
Andrea chiede non soltanto un lavoro, ma un sussulto di dignità da parte di chi esercita verso di lui quello che sente essere un ingiusto ostracismo. Se fai politica e declini valori, e poi davanti ai valori volgi lo sguardo altrove, che tipo di società stai costruendo?
Mentre me ne vado da casa sua, mi viene da fare questa riflessione: malgrado tutto chiede un lavoro e non un reddito di cittadinanza per stare a casa. Vista la malattia, avrebbe diritto di chiederlo. Mentre lui vuole lavorare. È incazzato, Andrea. Ma resta coerentemente leghista. Come dicevano di Umberto Bossi dopo l’infarto, l’erba cattiva non muore mai. Questione di radici.

https://youtu.be/pppM0mFAYKk

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