LA NECESSITA’ STORICO – GENERAZIONALE: UNA  (COMMEMOR)AZIONE CULTURALE

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Negli ultimi mesi del 2019 la necessità storica ha voluto che venisse a crearsi, a partire dalla città universitaria tra le più antiche d’Italia, Bologna, il movimento delle “sardine”, chiamato così per la mole di persone che affluirono lo scorso 15 novembre in Piazza Maggiore in protesta alla campagna elettorale del leader della Lega Matteo Salvini, in vista delle prossime elezioni regionali. Il fenomeno ha provocato un’eco nazionale che, da Nord a Sud, presenta delle caratteristiche comuni: antifascismo, pacifismo, cultura, senso di comunità. Si assiste ad un movimento di risveglio di consapevolezza provocato da una parte della politica che, da un anno a questa parte, fomenta odio, terrore e diffidenza verso il prossimo, diverso e per questo un pericolo. Ingrandendo la lente sul flashmob delle sardine di Torino, una tra le città più antifasciste d’Italia, tenutosi lo scorso 10 dicembre, si assiste al canto muto e quasi impercettibile di “Bella Ciao” da parte di circa 30.000 persone: un canto strozzato, per ricordare coloro che hanno lottato per ridare voce alla comunità; per ricordare che oggi, altrove, quel qualcosa che si chiama diritto o dignità resta ancora a troppi un concetto sconosciuto. Una voce italiana che non teme differenze, che vuole accogliere, che non vuole tornare indietro.

Sebbene alcuni pronostichino sulle sorti di questo movimento sarebbe opportuno, all’attuale stato di cose, re-imparare ad osservare, ma soprattutto leggere tanto, imparare a pensare, tutte azioni che si svolgono in silenzio; un soliloquio generazionale necessario, una (commemor)azione che dovrebbe liberare da un’atrofia cerebrale volontaria e non dovrebbe andare in cerca di nuove ideologie a cui aggrapparsi, ma di un equilibrio attraverso la capacità di dubitare. A proposito delle ideologie, il filosofo romeno Emil Cioran, in un intervista del 1982, si espresse in questi termini: “Che cos’è l’ideologia in fondo? La congiunzione dell’idea con la passione. Da qui deriva l’intolleranza. Perché l’idea in se stessa non sarebbe pericolosa. Ma non appena vi si aggiunge un po’ d’isteria è la fine”.

Chiunque, almeno una volta, diventerà sardina: alcune potranno parlare, altre no. Nel nostro Paese, fa più rumore un presepe multietnico, che una vittima di bullismo. Verso il nostro Paese, giungono persone che fuggono in cerca di aiuto e pace, una pace che secoli addietro abbiamo contribuito a far vacillare. Dal nostro Paese a cavallo tra le due guerre, le sardine siamo state noi. Troppo spesso si lascia alla fortuna il compito di decidere chi far nascere dalla parte giusta del mondo. E quel mondo, in cui oggi ci si sente tanto al sicuro, potrebbe tornare ad essere un teatro di odio a cielo aperto.

Su questa falsariga che si rifletta in ultima analisi sulle parole di Vincenzo Fiore il quale, nel suo romanzo “Nessun Titolo”, illustra la piaga sociale del nostro tempo: “Mia madre si divertiva a individuare la nazionalità dall’aspetto delle persone, però in fin dei conti per lei esistevano solo grandi raggruppamenti, anzi, razze: i tedeschi cattivi e biondi, i marocchini magri e scuri, (…), gli americani grassi e ricchi, gli zingari sporchi e ladri (…). Purtroppo quel gene del qualunquinismo l’avevo ereditato anch’io, ma non era razzismo, credo si trattasse solo di pregiudizio, lei non aveva potuto né studiare né viaggiare, il mio problema era ed è, invece, essere superficiale. (…) Siamo tutti figli dello stesso padre, che sia una cellula o un dio, sogno un mondo dove si riescano a gettare fuori le differenze, apprendendo non distruggendo l’altro; né uno xenofobo rigetto né una tollerante integrazione, ma una necessaria assimilazione. Non ci accorgiamo che mietiamo vittime per bandiere di colore diverso ma messe in asta dagli stessi dolori (…)”.

Roberta Bagnulo

Fonti: Emil Cioran “Un apolide metafisico” intervista di Leon Gillet 01/02/1982, Adelphi, p. 73
Vincenzo Fiore “Nessun Titolo”,  Nulla Die Edizioni, 2017, pp. 37-39

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