RED HOT CHILI PEPPERS, QUEL SOUND CALIFORNIANO CHE SCALDA IL CUORE

Ho messo le mani su un album dei Red Hot Chili Peppers per la prima volta a tredici anni. Ero nel negozio di dischi del mio quartiere, un piccolo angolo di paradiso in cui poter spendere i soldi che ricevevo dai parenti durante le feste comandate. Tra i tanti cd che affollavano gli scaffali di quel negozio, ce ne fu uno che catturò la mia attenzione. Era Californication, settimo album in studio della band californiana, destinato a diventare un classico della discografia della band e del rock di moderna concezione. La copertina era caratterizzata dalla foto di un cielo eccessivamente blu e di una piscina nel cui riflesso si poteva vedere un cielo infuocato con delle nuvole. Una sorta di avvertimento da parte della band sui contenuti molto più umani ed intimi che si trovano all’interno di quell’album rispetto ai loro lavori precedenti. Una totale trasformazione per il gruppo, che all’epoca di Californication ha visto il ritorno alla chitarra di John Frusciante che ha preso il posto di Dave Navarro. Da allora ho cominciato ad ascoltare ed apprezzare il gruppo di Los Angeles, ascoltando tutti i lavori che hanno pubblicato. Ben presto il tocco iconico del basso di Flea, la voce di Anthony Kiedis e il tocco della chitarra di John Frusciante diventarono una costante delle mie playlist rock. E’ difficile parlare dei RHCP senza citare la loro naturale propensione per il casino, l’eccesso e il divertimento. Come è capitato per diverse band, i Red Hot sono passati attraverso una serie di eventi(la morte per overdose del loro primo chitarrista Hillel Slovak nel 1988, l’ingresso nella band di John Frusciante, il suo primo abbandono del 1992, l’esperienza non facile con l’ex Jane’s Additino Dave Navarro, il ritorno di Frusciante nel 1999, il secondo e definitivo abbandono di Frusciante del 2009 e l’ingresso nella formazione in pianta stabile di Josh Klinghoffer nel 2010) che avrebbero spazzato via qualsiasi altra formazione. Ma non loro. Loro sono riusciti con il tempo a fare delle loro sfortune un punto di forza che hanno riversato nei loro lavori, con alterne fortune, diventando un grosso punto interrogativo sui volti di quelle bocche parlanti che hanno velleità di farsi chiamare giornalisti musicali. La stampa specializzata spesse volte non comprende la genialità di una cosa finché non gliela si sbatte in faccia per poi fare marcia indietro ed esaltare quello che all’epoca non furono in grado di apprezzare. E’ successa la stessa cosa con il penultimo e l’ultimo album dei RHCP, rispettivamente I’m With You (2011) e The Gateway (2015). La stampa specializzata si è completamente dimenticata del loro album del 2011, salvo poi etichettarlo come l’opera di una band ormai priva di idee giunta sul viale del tramonto. Ad una più attenta analisi I’m With You presenta una serie di elementi interessanti. Primo fra tutti l’apporto di Klinghoffer al sound generale della band. Il tocco caratteristico di Frusciante è decisamente iconico e differente, ma il chitarrista (qui al suo primo lavoro in studio con i RHCP) avrà poi modo di farsi apprezzare anche dai fan più esigenti del gruppo. Alcuni brani dell’album presentano una sincera volontà di gettarsi alle spalle un altro capitolo doloroso per la storia dei Red Hot Chili Peppers. Brani come Monarchy Of Roses, Brendan’s Death Song, Annie Wants A Baby e The Adventures Of Rain Dance Maggie portano nuovamente il gruppo sulla giusta strada per ritrovare il mordente di un tempo. The Gateway (2015), loro ultima fatica in studio, rappresenta il raggiungimento della maturità artistica del gruppo. Anche lo stesso Josh Klinghoffer riesce a trovare la sua giusta dimensione ritmica in quello che rappresenta il lavoro di un gruppo che ha segnato la storia del rock degli ultimi anni. Il ritmo accattivante del brano minimo che da il nome a tutto il disco è decisamente molto orecchiabile e “radio friendly”, tanto da diventare uno dei pezzi più trasmessi dalle emittenti radiofoniche nel periodo di uscita dell’album. Una menzione speciale meritano i brani Dark Necessities (a parer mio diventato uno dei brani più iconici degli “ultimi RHCP) e The Longest Wave, che con le sue atmosfere è in grado di portare l’ascoltatore sulla cresta delle onde californiane. Non mancano quindi gli elementi che hanno permesso alla band di diventare uno dei punti di riferimento della scena rock contemporanea, tra cui il surf, la California e la voglia di fare casino. Con la riscoperta consapevolezza di quanto sia bello fare parte di una famiglia che ne ha passate tante, ma che nonostante tutto è ancora presente per poter dire la propria.

Hank Cignatta

 

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