MARCOS, FIGLIO DI UN DIO MINORE

Faccio subito una premessa, in quest’intervista in cui ascolto e dialogo con il papà di un ragazzo disabile, Alessandro, e poi con lo stesso ragazzo, Marcos, l’intento non è quello di biasimare la scuola in cui Marcos si trova.
Proprio per questo ho scelto di non citarla, e di non fare il nome della sua dirigente e dell’insegnante di sostegno.
Durante l’intervista sia papà Alessandro, sia Marcos raccontano di voler lasciare la scuola.
Nelle scorse ore si è appurato che per uno studente come Marcos, trovare un’altra scuola non è agevole.
Soprattutto però quello che non voglio è bullizzare o sottoporre al pubblico ludibrio la scuola.
Quello che intendo fare, invece, è raccontare una storia che provi ad avvicinare le parti e soprattutto consenta a Marcos di poter continuare gli studi e a non dovervi rinunciare.
Ciò detto, in quest’intervista vedrete un padre di famiglia che mi spiega che la malattia del figlio costituisce una difficoltà per la scuola e per i suoi insegnanti.
Mi spiega anche però che lui, come uomo, è pronto ed ha la necessità di trovare un dialogo con la scuola.
All’occorrenza può rendersi lui stesso utile al figlio in alcuni spostamenti interni all’edificio qualora vi fossero dei problemi di deambulazione, che nel caso di Marcos sono comunque sempre previsti in carrozzella.
Marcos non può camminare. Deve essere assistito quando va in bagno o quando mangia.
Ma questo non fa di lui un disabile.
La sua mente è fresca, è lungimirante, è saggia.
Questo ragazzo produce un pensiero anche più grande per l’età che ha.
Ad un certo punto a fine intervista dice una cosa bellissima: “Io ho bisogno del dialogo, per me il dialogo è tutto”. Un ragazzo di 16 anni che invoca, prega la scuola di imparare a dialogare con lui.
Marcos e suo padre sono una coppia di incredibile bellezza.
Durante l’intervista, il corpo sghembo di un ragazzo che ha gli ormoni e l’intelligenza, la foga e l’entusiasmo di un qualunque ragazzo di 16 anni, lo porta a divincolarsi dai lacci che lo tengono legato alla sedia.
Il gesto dolcissimo del padre, che nell’accudire suo figlio gli prende la sua mano destra e la tiene legata e stretta alla propria è la dimostrazione compiuta e visibile di quali valori siano parte della famiglia Cappato.
Sulla base di questo ho deciso di pubblicare, anche se nelle ore successive all’intervista Alessandro e Marcos hanno preso atto di non poter surrogare la scuola in cui Marcos si trova con un’altra equipollente.
Per cui il ragazzo, la dirigente e l’insegnante di sostegno dovranno per forza parlarsi. È lo sforzo che deve fare la scuola, per rendere migliori i nostri ragazzi.
È anche vero che spesso i dirigenti si trovano sul groppone enormi responsabilità e buste paga leggere, troppo leggère.
Ciò non toglie che compito delle istituzioni è aiutare proprio ragazzi come Marcos.
Per questo il dia-logos costituisce un elemento troppo importante per decidere di lasciar perdere.
Dico di più: Marcos sa di essere un rompicoglioni.
E consentitemi di dirlo: ci mancherebbe pure non lo fosse.
Chi non lo sarebbe, costretto a vita su di una seggiola e bisognoso di sostegno anche per mangiare? Le sue mani sono anchilosate, piegate: ma sono bellissime perché si muovono e reclamano l’attenzione di qualunque ragazzo di sedici anni.
Sono la dimostrazione che le forme dell’amore, sono diverse.
E che il linguaggio può contribuire a estendere l’amore, a dispiegarsi in forme e in modi inattesi.
Spesso perdiamo di vista cosa sia l’umanesimo.
Sembra una parola vuota. Invece Marcos ha riempito quello spazio con una, sua, parola: dialogo. Non spezziamo questo filo. Rendiamolo vivo.
Qui stiamo coltivando un’anima che ha una dirittura morale che può diventare paradigma collettivo
Portiamo con noi i valori che questo ragazzo ci sta insegnando.
Portiamolo nelle sua scuola e anche in altre scuole. Marcos è un corpo incatenato a una sedia ma ha un’anima libera.
Non lasciamolo da solo.

 

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