IL SUICIDIO ASSISTITO: UN’INTRODUZIONE E UNO SGUARDO ALLA BIOETICA. PT1

Non di rado l’uomo costruisce il proprio vissuto sulla base di un concetto di eternità che viene a svanire solo nel momento in cui si trova davanti al conto da pagare: il fine vita. L’argomento è risaputo essere indigesto all’essere umano, perché questo lo costringe ad una maggiore responsabilità nei confronti della sua salute, del tempo che scorre, e di tanto altro. 

Tuttavia, lungo l’asse progresso tecnologico medico – opinione pubblica – acquisizione in crescendo di autodeterminazione dell’individuo, il tema del fine vita non può più essere rimandato. A seguito del caso noto di Dj Fabo e dell’incriminazione del suo avvocato Marco Cappato, la Corte Costituzionale chiede al Comitato Nazionale di Bioetica un incisivo e urgente intervento che disciplini la materia, dal momento che il nostro ordinamento, ad oggi, non dispone degli strumenti per poter analizzare determinati fenomeni. 

Nell’estate dello scorso anno, il CNB si è riunito intorno a un tavolo per discutere la faccenda, il cui risultato si è rivelato più intricato di prima: la bioetica italiana non prende posizione, lasciando ancora un vuoto giuridico, morale ed etico. Il documento redatto in data 18/07/2019 alla fine della consulta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dopo una lunga premessa, specifica le tre posizioni sorte e che hanno movimentato il dibattito: una prima a sfavore della legittimazione del suicidio assistito; una seconda a favore; una terza che ritratta il concetto di irreversibilità, di sofferenza e di suicidio stesso, nonché la rivendicazione di un’assistenza sanitaria più incisiva.

In questa sede, in cui si realizzerà una panoramica del tema, che sarà approfondito negli articoli successivi, si porta all’attenzione del lettore la seguente distinzione, secondo quanto affermato dal documento sopracitato, tra:

Eutanasia: l’atto con cui un medico o altra persona somministra farmaci su libera richiesta del
paziente consapevole e informato, con lo scopo di provocare
la morte immediata. L’obiettivo è anticipare la morte al fine di togliere la sofferenza. In quest’ambito, è il medico a iniettare il farmaco al paziente.

Suicidio Medialmente Assistito: procedura attiva attraverso cui chi richiede di morire si induce personalmente la morte, attraverso la somministrazione di un farmaco letale, prescritta da un terzo (medico, farmacista o altri), vincolato tuttavia ad un lasso temporale tassativo dallo stesso e/o dal legislatore. In quest’ambito, è la persona stessa a indurre la propria morte. 

Rifiuto o rinuncia al trattamento sanitario: disciplinato dalla L.219/2017, è l’atto attraverso cui il paziente decide, consapevolmente e solo dopo essere stato informato intorno a tutti i parametri concernenti le sue condizioni di salute, di rinunciare alle cure e a qualunque trattamento salvavita, in armonia con i diritti costituzionali di cui ogni cittadino gode. Il medico ha l’obbligo di informare altresì il paziente sulle conseguenze di questa decisione e delle possibili complicanze derivate. La dichiarazione è contenuta all’interno della cartella clinica, e può essere revocata qualora il paziente cambi idea. È garantita, in ogni caso, l’assistenza psicologica e medica al paziente lungo il processo di “spegnimento” del malato. In quest’ambito il paziente si lascia morire e il personale sanitario accondiscende a tale condizione. 

 Il dibattito si è sviluppato attorno ad alcune domande: ciò che viene legittimato giuridicamente può essere anch’esso morale? Il SSN è in grado di garantire la debita attenzione e ascolto a questa categoria di pazienti? Quanto sono davvero utili le cure palliative? Quanto questa decisione influenza la deontologia di farmacisti, infermieri e medici intorno alla cura e preservazione della vita? Quando è lecito lasciar morire e/o indurre a morire? Quanto è misurabile l’irreversibilità tale da compromettere la dignità dell’uomo? Cosa significa “sofferenza” e quando questa rappresenta un dolore esistenziale piuttosto che fisico? Come comportarsi nel contesto psichiatrico?

L’argomento è tutt’altro che semplice, e i nodi da sciogliere richiedono l’intervento di una squadra multidisciplinare che faccia da scudo e tuteli tutte le aree chiamate in causa. Sono chiamati all’appello giuristi, psicologi, psichiatri, medici, filosofi, sociologi, antropologi, soggetti religiosi e laici. 

L’approccio con cui si intende affrontare la faccenda ivi e in futuro, in questa sede, sarà di tipo filosofico.

Roberta Bagnulo 

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