SIAMO SOLO CONSUMATORI CONSUMATI

Si sta giocando una partita di carte con un mazziere che si tiene le carte migliori tutte per sé. 

E noi, popolo di creduloni, piccoli borghesi senza più portafoglio, sempre più poveri, soprattutto cognitivamente e intellettualmente restiamo incollati allo schermo di uno smartphone.
Un deserto culturale che ci sta riducendo ad una vita senza più parole per capire e esprimere il bluff a cui siamo soggetti, giochiamo, e soprattutto paghiamo, con il banco senza mai ricevere una buona mano.

L’emergenza sanitaria e il relativo lockdown hanno reso la connettività fondamentale e quello che prima era un lusso oggi è sempre di più una mera necessità.
Ci stiamo avvicinando al momento in cui non sarà più accettabile sborsare danari per una connessione o per l’acquisto di un dispositivo, essendo noi stessi parte integrante di questo colossale piano di marketing che ci regala perline in cambio di qualcosa di molto più prezioso: la nostra umanità. 

Ci stanno profilando l’anima, facendoci credere che stiamo “navigando” gratis, mentre altro non siamo che un “prodotto” e un fattore di profitti che non vengono equamente redistributi. 

Cornuti e mazziati, paghiamo per rimanere connessi ad un mondo distopico, del quale siamo la benzina e il gas di scarico in un unica soluzione.

Risucchiati sempre più in una stanzetta, in una bolla, che non permette di vivere una socialità, esprimere e condividere la nostra umanità, ridotta ad un account per gestire uno o più “profili” da esibire o ammirare.

Inevitabilmente viene tradotto tutto ciò nella necessità di ridurre le possibilità di entrare in relazione con il nostro prossimo, ormai dimenticato da tempo, in questo caso diventato pure pericoloso in quanto un elemento di possibilità di mortale contagio, portatore in carne ed ossa di un virus, ha reso una necessità, una salvezza, la creazione di un HIKIKOMORI rifugio dal mondo diventato pericolosamente infettato e contagioso.

Allora a che gioco stiamo giocando? A questo punto la domanda diventa obbligatoria.

Perché una persona deve pagare per lavorare? O meglio è sempre più evidente, soprattutto in questo momento storico che i giganti del web dovrebbero pagare chi rappresenta la base del loro business, sempre che sia sempre valido l’assioma che se il mio tempo è dedicato a far guadagnare un Altro per conto mio sto lavorando per lui e merito una retribuzione.

„Se il prodotto del lavoro mi è estraneo, e mi sta di fronte come una potenza straniera, a chi esso appartiene allora?

Se la mia propria attività non mi appartiene, ma è estranea e coartata attività, a chi appartiene allora?

A un ente altro da me.

Chi è questo ente?

L’ente estraneo, al quale appartiene il lavoro e il prodotto del lavoro, può essere soltanto l’uomo stesso.“

Karl Marx

Noi utenti del web che paghiamo la connessione, regaliamo tutto di noi, dai dati personali all’impronta digitale, la scansione dell’’iride, il nostro volto.
Altro non siamo che dei servi sciocchi e inconsapevoli del nuovo capitalismo selvaggio dei grandi potentati del web.

Home working, home schooling, cosa richiedono?
Una connessione internet ad alta velocità e qualità (decine di euro al mese) e un computer, tablet, smartphone di ultima generazione tutto a nostro carico.
Per far fare affari a chi acquisisce, analizza, archivia e gestisce ogni nostro touch, chat, conversazione.
Ci indebitiamo perché crediamo di acquistare un prodotto innovativo ma in realtà paghiamo per diventare passivi consumatori e nel farlo arricchiamo un datore di lavoro occulto. 

Una modesta famiglia con tre figli come può fare ad affrontare un home schooling quotidiano? 

Siamo sempre più inconsapevoli , lavoratori che pagano per lavorare ed intanto Bezos, Zuckerberg, Satya Nadella, e prima di lui Bill Gates, incassano.

„L’operaio sta in rapporto al prodotto del suo lavoro come ad un oggetto estraneo […] quanto più l’operaio lavora tanto più acquista potenza il mondo estraneo, oggettivo, ch’egli si crea di fronte, e tanto più povero diventa egli stesso, il suo mondo interiore, e tanto meno egli possiede.
Come nella religione, più l’uomo mette in Dio e meno serba in se stesso.
L’operaio mette nell’oggetto la sua vita e questa non appartiene più a lui, bensì all’oggetto.“ 

Karl Marx, libro Manoscritti economico-filosofici del 1844. 

Nel 2017 il fatturato complessivo dei colossi del software e del web è aumentato del 123%  rispetto al quinquennio precedente.
626 miliardi di euro.
Profitti imparagonabili con nessun altro periodo storico dalla prima rivoluzione industriale in poi.

Ricavi che, tra l’altro, non vengono equamente redistributi.

Ma pare che la “politica” non ne sia consapevole, o forse fa finta di non capire per agevolare tutto ciò.
L’argomento è ancora un tabù, è ora tuttavia che si alzi un grido di protesta contro questa sorta di sistema che più che donare assorbe, nichilizza ed appiattisce. 

„Da qui deriva la magia del denaro.
Il comportamento degli uomini, semplicemente atomistico nel loro processo sociale di produzione e perciò la forma di cose dei loro stessi rapporti di produzione, non legata al loro controllo ed al loro conscio agire da individui, appaiono innanzitutto nel fatto che i prodotti del loro lavoro prendono in genere la forma di merci.
Perciò l’enigma del feticcio denaro è solo l’enigma del feticcio merce, resosi fin troppo evidente.“ 

Karl Marx, libro Il Capitale, Il Capitale, Libro I, prima sezione, cap. 2, p. 90

Il coronavirus sta portando alla luce del sole la necessità di nuove battaglie ideologiche per emanciparsi da una schiavitù digitale oltre che da un sistema vetusto ed obsoleto.

Internauti di tutti i device, ribellatevi, non avete altro da perdere che le vostre catene (digitali in questi caso) scriverebbe Babbo Marx.

Giovanni Tommasini

„I rapporti sociali sono sfuggiti al controllo degli uomini stessi assumendo la forma di cose.“ 

György Lukács  Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale

Per approfondire il tema della perenne connessione e il futuro delle nuove generazioni :

Papà mi connetti?

IL VIRUS SIAMO NOI. Riflessioni in quarantena 

Tutti i Libri di Giovanni Tommasini

 

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