DSA – BULLISMO: EMOZIONI CHE (NON) PARLANO.

VITTIMA AL QUADRATO, UGUALE CARNEFICE.  

Nell’ultimo decennio si assiste in Italia sovente a scene raccapriccianti di bullismo: un cancro che infligge una ferita socio-psicologica sin dalla tenera età. Le categorie più colpite sono figli di immigrati, bambini con DSA o problemi fisici, bambini con genitori arcobaleno e l’elenco può continuare all’infinito. 

Abbiamo voluto saperne di più. L’Ingrato ha intervistato a tal proposito la Dott.ssa Emanuela Amato, Psicologa specializzata in Neuropsicologia Clinica dell’età evolutiva, adulta e senile. Svolge attivamente nel territorio di Casamassima (BA) la sua professione, ove ha creato dei gruppi di sostegno scolastico per bambini DSA e non solo; si adopera, inoltre, in campagne di sensibilizzazione a favore della salute mentale e detabuizzazione del ruolo dello psicologo e l’efficacia della psicologia nel vissuto dell’individuo. Non ultima, continua la sua lotta, assieme ad insegnanti e colleghi delle scuole primarie e secondarie, contro il bullismo. 

  • Dottoressa, in un’occasione ha affermato che stiamo vivendo un “medioevo della creatività”. Qual è il significato di questa riflessione? 

Se ci pensiamo il Medioevo, o almeno una parte di esso, è stata un’epoca in cui regnavano ignoranza e superstizione. In questo contesto la creatività, così come la follia e l’arte erano concepite come aspetti totalmente negativi. La conseguenza di tutto ciò era debellare ciò che creava disturbo all’equilibrio precario del sistema. Al giorno d’oggi noto una recidiva: siamo diventati una società di massa, ragioniamo tutti allo stesso modo. Noto come soprattutto le nuove generazioni vengano formate così, a non pensare; la creatività viene così emarginata. Non solo, viviamo in un’epoca in cui abbiamo l’informazione a portata di mano e, nonostante tutto, noto un atteggiamento di forte chiusura e repressione emozionale, che scaturisce poi dall’incapacità di esprimerle.

  • Parliamo di bambini e di inserimento nelle scuole. L’attenzione all’inclusione è più relativista o universalista?

Oggi siamo una società fortemente individualista, il che è un grosso problema. Si tende, ahimè, a rimarcare più le differenze che le cose in comune e tutto ciò è terreno fertile per razzismo, xenofobia, omofobia. Non siamo abituati a lavorare su ciò che unisce quando, soprattutto in contesti multiculturali, ci si renderebbe conto di quanto esistano dei valori universali che accomunano, e che varrebbe la pena di conoscere. Ognuno oggi pensa a sé. I popoli potrebbero unirsi per conseguire obiettivi nobili, ma non lo fanno, non vogliono farlo. E’ questo il problema. L’attenzione quindi si sposta verso il relativismo. 

  • Esiste a Suo parere una correlazione tra DSA e bullismo? Come incide questo sul futuro adulto?

Quando c’è una diversità in genere, non necessariamente correlata al DSA, si può realizzare una reazione di bullismo come “atto di guerra”. Non è, per fortuna, sempre così: molti dei ragazzi e bambini con cui lavoro, nonostante le loro disabilità, sono ben inseriti a scuola e accettati dai loro compagni. Tutto dipende da chi abbiamo davanti e da quanta empatia mostra verso il prossimo. In realtà, anche il bullo è in primis vittima e andrebbe aiutato: il bullo è un diverso, una vittima che miete vittime, probabilmente dovuto a una scarsa attenzione familiare in termini di empatia ed educazione. Per questo il bullo ti distrugge, ti annienta. Infatti, perché sovente le vittime di bullismo si suicidano? Perché non riescono più a ritrovare se stesse, vengono isolate dal contesto in cui si trovano. Una volta diventato adulto, occorre capire come, sia il bullo sia la vittima, si rapportano con gli altri. Non esistono delle ricette standard sull’esito, ogni caso è a sé. Fatto sta che molti degli atteggiamenti attuati o subiti da piccoli potrebbero riversarsi sull’educazione che daranno ai bambini un domani.

  • Ricorda un caso in particolare di cui si è occupata? Il lieto è stato fine?

Ricordo una volta di aver trattato un ragazzo di prima media con DSA che è stato vittima di un’aggressione fuori da scuola. Il ragazzo non si è limitato a subire ma ha reagito con altrettanta violenza per mandare al bullo un messaggio forte. E’ stato complesso affrontare la questione: sebbene fosse stato giusto reagire, ho tentato di spiegare al ragazzo che i metodi erano stati poco consoni e che, se la cosa si fosse ripresentata in futuro, di chiedere immediatamente aiuto a genitori, docenti e personale scolastico. Il gioco forza è stato trasmettergli ciò badando al suo stato emozionale. Il lieto, per fortuna, è stato fine. Il suo rendimento scolastico non è stato, per fortuna, compromesso, proprio perché il ragazzo ha reagito subito. Il problema è quando i ragazzi non dicono nulla, anzi, a volte non si rendono neanche conto di subire atti di bullismo. In questo contesto mi continuo ad occupare a sensibilizzare i ragazzi nel riconoscimento del bullismo e nel prendere coscienza di quanto possa essere pericoloso se reiterato nel tempo.

  • DSA e bullismo: come re-insegnare a tirare fuori le emozioni? In tutto questo la famiglia dov’è?

Partiamo col dire che entrambi i disturbi sono spesso conseguenze di una scorretta gestione delle emozioni. Tra i DSA, ad esempio, uno dei primi problemi è proprio la disgrafia: il disturbo di coordinazione di scrittura e lettura. In tutto questo la famiglia è fondamentale. Il guaio è che in alcuni contesti è impossibile, come i contesti devianti, a meno che non si inserisca un soggetto terzo. La famiglia  non dovrebbe essere lasciata sola e dovrebbe avere maggior sostegno dalla politica e dalla società. Ma ecco che sorge un altro problema: abbiamo una società in crisi, ed essa stessa non è in grado di fornire delle guide. Questo accade anche in famiglie definite “normali”. E’ necessario lavorare sia sulle emozioni dei genitori, sia sulle emozioni dei figli. Dovrebbero essere istituiti dei corsi in sostegno alla genitorialità.
In tutto questo, tornare ad adoperare la scrittura, l’arte e la musica può essere un ottimo ausilio per dare un nome alle emozioni, a tirarle fuori, a conoscere se stessi. 

  • Con quale citazione riassumerebbe la Sua speranza nella sconfitta del circolo vizioso “vittima -carnefice – vittima? 

Ho ritenuto opportuna una frase del filosofo e giornalista Elie Wiesel, testimone dell’Olocausto, che affermò:  “Prendi posizione. La neutralità favorisce sempre l’oppressore, non la vittima. Il silenzio incoraggia sempre il torturatore, non il torturato”. Se noi stiamo zitti davanti a chi subisce, diventiamo tutti complici, aumentando fama e prestigio dell’oppressore. Hitler ha guadagnato terreno in questo modo, incrementando a dismisura il proprio ego e realizzando una carneficina. Questa storia è finita nel momento in cui qualcuno ha pensato bene di alzare la testa e di non subire più, come i partigiani. Hanno interrotto il circolo vizioso. Prendere posizione, ecco cosa si deve fare. 

Roberta Bagnulo

Tempo di lettura: 7 minuti

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