CETTO LA QUALUNQUE E CHECCO ZALONE: SCACCO MATTO ALL’ITALIANO MEDIO.

Un mese e mezzo carico di sottile e sfrontata beffa, pregno di luoghi comuni, che tanto comuni ancora non sono nel nostro Bel Paese, da parte di Cetto La Qualunque e Checco Zalone.

“Cetto C’è Senzindubbiamente” e “Tolo Tolo”: nel primo, padrona la politica e l’orientamento inesistente del popolo italiano in materia; nel secondo, immigrazione e politica, estera e locale. Per chi ha avuto modo di recarsi al cinema noterà che, in entrambi i casi, gli affari pubblici vengono affrontati sotto interessanti prospettive, amaramente veritiere: incapacità di giudizio, massificazione, esasperato radicamento ove non ci sono più nemmeno semi da piantare, superficialità politica e popolare.

Si legge tra le righe di entrambe le pellicole una volontà di riavvicinare urgentemente la società al tema politico, in bene e in male, soprattutto in materia di voto e partecipazione, e alla necessità, attraverso la tecnica dello “specchio”, di realizzare un “dietro front” verso la virtuosa abitudine di guardare all’operato governativo in maniera critica, propositiva, attiva: un cambio drastico di mentalità. La situazione si rivela ancora più preoccupante nel momento in cui si rimembra che, alle elezioni del 04/03/2018, secondo LaStampa, l’affluenza alle urne è stata “tra le più basse della storia repubblicana del nostro Paese”, con un 72% di votanti (pari a poco meno di 34 milioni), di cui 350mila hanno dato scheda bianca e più di un milione sono state le schede annullate. Lo stivale, insomma, sembra non abbia più voglia di correre.

Mentre Buffo di Calabria cerca di ripristinare la monarchia nel Sud Italia, aggiunge: “Sono anni che gli italiani si bevono qualsiasi minchiata, e noi siamo la minchiata giusta al momento giusto”.  Dal canto suo, Zalone si ricorda perfettamente il nome del cane di Berlusconi, Doudou, nome del piccolo compagno di avventure, ma, ironicamente e di tutta ignoranza, “quel Doudou gli prosciuga tutto il fatturato”. Peggio ancora, Zalone si preoccupa della batteria scarica dello smartphone, piuttosto di rendersi conto di ciò che sta accadendo attorno a sé: un bombardamento con altrettanti proiettili sparati a sangue freddo, per guerre che in Africa sembrano non avere mai fine, anche e forse, soprattutto per colpa nostra.

Si ritiene opportuno, agli albori di voci che gridano al Terzo Conflitto Mondiale, che la politica ritorni ad essere parte della riflessione dell’uomo all’interno di famiglie, scuole, circoli, piazze (secondo il virtuoso esempio greco). Riappropriarsi della dignità di votare, guadagnandosi tale dono rileggendo un manuale di diritto costituzionale, di storia locale e nazionale, a constatare. E’ necessario riacquistare la capacità di approfondire. E’ necessario che chi studia non resti nell’università, ma condivida la conoscenza.  Il pubblico affare è parte integrante del vissuto dell’individuo ormai da secoli e, se si continua a lasciare che disinformazione, superficialità e “andare a sentimento” siano le parole d’ordine dell’ operato di ciascuno, ciò che ascenderà al potere sarà il riflesso di ciò che si fa e si è.

Che siano di riflessione le parole del filosofo Jean Jaques Rousseau ne “Il Contratto Sociale” che, a proposito dello Stato in declino affermò: “infine, quando lo Stato prossimo a rovina continua a esistere solo in forma illusoria e vana, quando il vincolo sociale è infranto in tutti i cuori, e il più vile interesse si adorna sfrontatamente del sacro nome di bene pubblico; allora la volontà generale diventa muta; tutti, guidati da motivi segreti, smettono di pensare come cittadini, facendo conto che lo Stato non sia mai esistito; e sotto il nome di legge si fanno passare falsamente dei decreti che hanno per fine solo l’interesse particolare”.

Roberta Bagnulo

Tempo di Lettura: meno di 4 minuti
Fonti: ROUSSEAU Jean Jaques, Il contratto sociale, Editori Laterza, Libro quarto cap.1, p. 153.

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