DISPRASSIA: UN DISTURBO DI CUI SI PARLA ANCORA TROPPO POCO

Si chiama disprassia, è tradotto come sinonimo di “persona imbranata”, una “imbranataggine” che porta con sé tante difficoltà nell’ambito della vita quotidiana. Ma ingrandiamo la lente. 

Tracciati gli esordi nella fase evolutiva del bambino, lungo una fascia d’età tra i 2 e i 9 anni, la disprassia è una patologia della programmazione motoria che si manifesta attraverso significative difficoltà di progettazione, coordinazione ed esecuzione del movimento, sia a livello corporeo, sia a livello linguistico. Esistono differenti tipi di disprassia, ciascuna con le sue caratteristiche, tra cui si citano il tipo verbale, evolutivo, ideativo ed esecutivo.

Tra i segnali frequenti si possono annoverare: difficoltà nella scrittura e nella concentrazione, difficoltà nel realizzare calcoli, difficoltà a superare semplici ostacoli attraverso la coordinazione del salto o a giocare con la palla, difficoltà a giocare con le formine ad incastro, difficoltà a tenere in mano una posata durante i pasti, mancato senso dell’orientamento spaziale e temporale, problematiche di natura fonetico – fonologica (difficoltà a pronunciare e riconoscere suoni e suoni distintivi, consecutivamente, come che/ghe), morfosintattica (difficoltà nel pronunciare le parole, come “neno” al posto di “numero”) e prosodica (alterazione del ritmo con cui viene pronunciata una frase). 

E negli adulti? La Disprassia è una patologia presente altresì negli adulti e che si manifesta con difficoltà lavorative e domestiche dal punto di vista procedurale. 

Quali sono i percorsi terapeutici previsti? La disprassia, in base alla sua caratterizzazione, è curata dal logopedista, dal terapista di neuropsicomotricità e, in via sperimentale, studiata e monitorata dal linguista clinico specificatamente per la parte legata al comportamento comunicativo. 

In che modo i piccoli pazienti disprassici vengono aiutati a scuola? Gli insegnanti si adoperano per realizzare dei programmi ad hoc in modalità e contenuti, che si concretizzano in una semplificazione dei compiti assegnati, spiegati in maniera semplice e chiara; schemi brevi e concisi per lo studio a casa; promozione di un’attività fisica atta al potenziamento dei movimenti lasciare più tempo a disposizione nella compilazione dei compiti in classe e tanti altri interventi. 

In che modo la disprassia si inserisce nel contesto sociale? Dal momento che la patologia investe un’ampia gamma di fattori e considerata la velocità con cui oggi la società si mobilita, bambini e ragazzi disprassici vengono spesso etichettati come persone imbranate, incapaci, e (ovviamente) lente. Il problema sussiste, purtroppo, sia a livello sociale e talvolta a livello familiare. Il risultato è la tendenza all’isolamento, significativa stanchezza fisica, irritabilità e stati ansiogeni, bassa autostima.

Il paradosso contemporaneo: e se si affermasse che l’eccessiva velocità è anch’essa una malattia? La malattia, quando giunge, costringe l’individuo a rallentare i suoi ritmi, a fermarsi e guardarsi intorno, a comprendere quello che sta succedendo nel sistema mondo. La malattia conclamata alla nascita, invece, invita a conoscere il mondo in un modo diverso, ove diverso non significa sbagliato. Dalle persone affette da disprassia e patologie affini, potremmo imparare il rispetto di dare il tempo, che spetta di diritto a ciascun individuo, di potersi esprimere al meglio delle sue possibilità e capacità; imparare dalla stanchezza, che per alcuni significa portare a casa un risultato; imparare a rallentare: la produttività non ha niente a che vedere con la velocità, ma con la creatività e la qualità del tempo utilizzato; imparare ad ascoltare più che un errore, una possibilità. 

Forse l’ascolto, sotto tutte le sue forme, non è più culturale. 

Roberta Bagnulo 

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